Un viaggio emozionale che attraversa quattro decadi di guerre e conflitti in Iraq. Quattro protagonisti: Nassar, giovane beduino; Akheen, una diciottenne combattente yazida; il padre del regista, becchino di guerra; Adnan un anziano che vive alla stazione ferroviaria di Baghdad nel più totale isolamento. E poi c’è Ahmed, il regista narratore, che attraverso le esperienze rivelatrici di questi personaggi cerca di portare a compimento un percorso di trasformazione spirituale, ragionando sulla sua esistenza segnata dalla presenza costante di sentimenti come la paura e la rabbia.
Estate 2020. Nel corso delle elezioni presidenziali in Bielorussia, tre attori di un teatro underground di Minsk si uniscono alla protesta popolare. Per le strade la gente inneggia a gran voce alla libertà di parola e manifesta in nome del tanto atteso cambio di potere. Ma la voce del popolo è brutalmente repressa dall’apparato di sicurezza del regime del presidente Lukashenko. I teatranti vengono arrestati insieme a tante altre persone. La nazione è sull’orlo di una guerra civile. Il film offre uno sguardo personale sugli eventi di quei giorni e un toccante spaccato di vita della gente comune che combatte per la libertà e per il diritto alla democrazia nella Bielorussia contemporanea.
In Cecenia il regime semiautoritario di Kadyrov adotta misure repressive nei confronti degli omosessuali. A farne le spese, tra gli altri, è Khavaj, un giovane lottatore di arti marziali miste costretto ad abbandonare il Paese in seguito alle minacce di morte da parte del fratello omofobo. In esilio forzato a Bruxelles, chiuso in un mutismo ostinato, Khavaj mantiene un unico legame con la Cecenia: i messaggi vocali che riceve dalla madre. Il film segue i primi mesi di Khavaj in Belgio, alla ricerca di una nuova identità, obbligato a vivere nel totale anonimato per fuggire alla diaspora cecena.
I giovani Ismail, turco, e Hakan, curdo, iniziano a lavorare in un resort sul mare in Turchia. Entrambi sono entrati nel settore alberghiero per trovare una strada e imparare l'inglese. All'inizio sono timidi e rispettosi, evitano ogni contatto con gli ospiti dell'hotel. A poco a poco, osservano i bikini colorati, i piatti non svuotati, le interazioni tra i villeggianti. I ragazzi stanno cambiando: la gentilezza si trasforma in indifferenza. Ismail immagina un futuro in Europa, Hakan cerca di discutere di Gogol' e Dostoevskij con i turisti russi. È possibile mettere da parte la propria identità per denaro? Il mondo si divide in padroni e servitori? Si può restare fedeli ai valori con cui siamo stati educati?
Per evitare un matrimonio forzato, la diciannovenne curda Hala scappa dalla famiglia filo-Isis e si arruola nell'Unità di Protezione delle Donne, la brigata femminile della milizia di Unità di Protezione Popolare. Impara a combattere spinta dall’ambizione di liberare altre donne. Quando l’esercito curdo libera la sua città natale, Hala può finalmente realizzare il suo sogno di proteggere altre donne indifese e vorrebbe liberare la sorella minore dalla tirannia del padre. Una illuminante riflessione su cosa significa essere una femminista e un’outsider in un contesto in cui il concetto di “femminismo militante” può essere interpretato in senso quasi letterale.
«Sono il prodotto dell’insanabile contrapposizione tipicamente iraniana tra laicismo e ideologia islamica», dice la regista Firouzeh Khosrovani, figlia di padre laico e madre musulmana praticante. Nella sua famiglia, come in tante altre, gli effetti della rivoluzione islamica hanno influito su ogni aspetto della vita quotidiana. Mentre il padre continuava ad ascoltare Bach, la madre si dedicava all’attivismo religioso. In casa niente carte gioco o foto di donne senza hijab. Una famiglia divisa, una figlia combattuta. Attraverso fotografie, lettere e voci, la regista racconta la sua giovinezza. La sua storia privata assurge a metafora dei cambiamenti della società iraniana negli ultimi quarant’anni.
Il Venezuela, il primo Paese al mondo per risorse di petrolio, è scosso da una crisi politica e umanitaria senza precedenti. Mentre nel cielo si addensano nubi di tempesta, militari indolenti pattugliano il mare dei Caraibi, migranti raggiungono i posti di frontiera al confine con il Brasile, trafficanti si avventurano nella natura ostile del deserto di La Guajira per contrabbandare gli ultimi barili di carburante sotto embargo. Il film ritrae pirati e pellegrini, abbandonati al loro destino da uno Stato cui sentivano di appartenere senza che fossero imposti loro inni o bandiere; anarchici come le nubi temporalesche che fluttuano sopra di loro minacciando di porre fine al limbo che tutto avvolge. Un cielo così cupo non può schiarire senza una tempesta.
Amin Nawabi, affermato accademico trentaseienne, danese di origine afgana, da oltre vent’anni tiene nascosto un doloroso segreto che rischia di rovinare la vita che si è faticosamente costruito e l’imminente matrimonio con il fidanzato di lunga data. Il regista Jonas Poher Rasmussen ricorre all’animazione per mantenere segreta l’identità del protagonista, suo amico d’infanzia, e raccontare la storia del viaggio iniziato da bambino e che lo ha portato in Europa. Attraverso toccanti testimonianze, Flee racconta la storia indimenticabile di un viaggio di crescita e di scoperta di sé.
A metà degli anni Ottanta, il gigante svedese delle miniere e delle fonderie Boliden fece spedire una grande quantità di rifiuti tossici in Cile, dove avrebbero dovuto essere trattati da Promel, un'azienda locale. Tuttavia, solo una minima parte dei rifiuti fu processata in un impianto e la maggior parte fu scaricata alla periferia della città, nel deserto. Le conseguenze di questo atto brutale sono ancora visibili nella comunità: i residenti hanno respirato grandi quantità di arsenico e sviluppato diverse forme di cancro, molti bambini sono nati con difetti congeniti. Attraverso testimonianze registrate dentro e fuori i tribunali e resoconti diretti delle vittime del disastro, il film fa luce su un caso vergognoso di colonialismo moderno.
Zimbabwe, 2018. La nazione è a un crocevia. Il dittatore Robert Mugabe si è dimesso e sono state indette le prime elezioni legali dopo trent’anni. Il leader dell’opposizione, Nelson Chamisa, sfida Emmerson Mnangagwa, detto “il coccodrillo”, epigono del dittatore e della sua politica di corruzione. Le elezioni saranno la prova decisiva per entrambe le fazioni. Il modo in cui intendono interpretare i principi della democrazia, conquistare la fiducia della popolazione, resistere alla violenza e promuovere la fiducia nelle istituzioni è destinato a segnare il corso del futuro del Paese. President è un’avvincente ed epica testimonianza di come la lotta per la democrazia, ovunque venga combattuta, assuma rilevanza universale.
Ritratto di un gruppo di giovani donne della periferia a nordest di Parigi, tra discoteche, sesso e incertezze. Lontane dal cliché delle ragazze parigine supereleganti, vivono in una giungla di cemento e asfalto che grida “libertà, uguaglianza e sorellanza” dai tetti. Libere, forti e diverse, le conversazioni spaziano spontaneamente dal sesso alla filosofia. Dünya, Lila, Héloise, Bonnie e Solveig brillano di fiducia e spavalderia, alle soglie di una nuova fase della vita: università o sogni di gloria? Affetti stabili o indipendenza? Restare con i genitori o andare vivere da sole?
La Casa dei migranti di Gao, in Mali, accoglie le persone in transito verso l’Algeria o di ritorno da vani tentativi di emigrare in Europa. Esther e Kady vi arrivano dal Burkina Faso, per recuperare le forze prima di continuare il loro viaggio. Qui stringono amicizia con Natacha, una donna che ha perso la memoria, svanita insieme alle speranze di ritornare a casa. Le tre diventano una famiglia, condividono momenti di gioia, speranza e tenerezza. Ma le ragazze non abbandonano il sogno di emigrare, nonostante le testimonianze di tanti tentativi falliti. Sulla casa sembra aleggiare la voce del deserto, che mormora storie di sogni e incubi.